Edipo è il simbolo dell’uomo che lotta invano contro un destino tragico e ineluttabile, una storia universale che cavalca intatta i secoli.
Nell’originale adattamento di Calandra Teatro, Edipo acquista i tratti dell’uomo contemporaneo che ci trasmette la sua impagabile lezione sull’uomo, sul destino e sulla fortuna.
Edipo Re, infatti, tragedia messa in scena da Sofocle per la prima volta nel V secolo a.C., ha accompagnato con la sua potenza simbolica e narrativa tutta la storia della civiltà occidentale, ponendosi come archetipo di istanze profonde e di tabu pericolosamente svelabili.
Un testo talmente universale da essere, nel corso dei millenni, profondo come un abisso, dal quale registi e attori di ogni tempo hanno saputo trarre significati sempre differenti, nuovi e infiniti. Che, tuttavia, hanno un solo scopo, l’indagine della fragilità umana.
Sulla scena il protagonismo viene scomposto, i personaggi disincarnati, tramutando Edipo in un’icona, un marchio, un totem che, indossato da differenti corpi, li segna e li informa di sè. Un segno che possiede l’attore e, con esso, l’essere umano, costringendolo a una ricerca di se stesso verso l’oscurità.
A Edipo, sovrano della città di Tebe, non è bastato rispondere correttamente all’enigma della Sfinge per salvare se stesso e la sua città. Il Destino, per lui, ha in serbo altro, una maledizione dalla quale egli non è in grado di liberarsi.
In un solo giorno scopre la sua vera identità che ignorava, quella di assassino di suo padre e compagno incestuoso di sua madre. Così Edipo, il Re forte, diventa Edipo fragile, fragilissimo, etereo.
Il Fato, nella sua cecità, lo rende a sua volta cieco, nella punizione che, a mo’ di contrappasso, si autoinfligge per aver voluto indagare nel pozzo della conoscenza, della verità. È così che l’inclinazione propria dell’indole umana si scontra con la volontà divina e alla fine ne esce sconfitta. Solo il velame, che ancora fluttua lieve dietro le quinte, cela ancora l’illusione di un Altro possibile.
Regia di Giuseppe Miggiano