La vittoria dei Maneskin all’Eurovision fa ancora rumore. Non solo per le sterili polemiche sulla presunta assunzione di droga in diretta da parte di Damiano, il frontman della rock band di Roma, ma proprio per la storia del gruppo. Da via del Corso alla vetta dell’Europa, è il titolo più ricorrente per i ragazzi che iniziato suonando per le strade del centro, come tanti busker del nostro paese e sono arrivati a vincere l’Eurovision Song Contest, oggi la competizione musicale più vista del mondo. Certo c’è stato Toto Cutugno 31 anni e prima ancora la grande Caterina Caselli, ma oggi le cose sono diverse. Ha detto bene Manuel Agnelli, rocker e frontman degli Afterhours – una delle miglior band degli ultimo 20 anni nel nostro paese: “Adesso cambia tutto. L’Italia non sarà più solo pizza e mandolino!”
Fu proprio Manuel Agnelli a “guidare” i Maneskin nell’edizione del talent show X Factor del 2017 e poi a portarli in finale. Poi c’è stato il Sanremo della pandemia e adesso questa vittoria che porterà lo show musicale più visto al mondo ad essere organizzato nel nostro. E dal nostro paese. Che significa? Tanto. Innanzi tutto che le strategie dell’industria culturale italiane dovrebbero essere più attente e quelle che sono le tendenze nascenti e non solo seguire filoni già ben in evidenza. Era evidente che di cloni-trapper senza qualità e differenza le playlist erano sature! Come gli show tv che oggi guardano i loro i loro magri risultati e si chiedono perché senza accorgersi che sono rimasti a strategie di spettacolo di fine millennio.
«Via del Corso è dove abbiamo iniziato a suonare. Ci andavamo sempre agli inizi del nostro percorso, con le monete abbiamo messo insieme i soldi per il nostro primo singolo. Quella voglia di suonare e di condividere la nostra musica ora come allora è rimasta sempre la stessa», racconta Damiano David, il frontman del gruppo, il mattino dopo la finale dell’Esc. Trentuno anni dopo Toto Cutugno (e prima ancora c’era stata soltanto Gigliola Cinquetti nel 1964), l’Italia torna a vincere la competizione musicale continentale. Zitti e buoni bissa Sanremo. «Basta competizioni adesso — commenta il cantante — ci mettono troppa ansia. Continueremo a seguire la musica, andremo dove ci porta lei». Come hanno sempre fatto.
Una cosa che è piaciuta dei Maneskin è quello di essere venuti dalla famosa “gavetta”. Di aver provato e riprovato. Di aver sbagliato e sbagliato meglio, per citare il grande Samuel Beckett. Un giurato del nord-europa ha twittato: ma in Italia anche i rocker li disegna Michelangelo!
Ecco qui ci sta tutto un mondo su cui noi italiani non riusciamo o non vogliamo, purtroppo per noi riflettere: l’italicità.
Noi siamo sempre convinti che il mondo ami del nostro paese i paesaggi, le opere d’arte ed i sapori. Eppure in tutto il mondo piace il modo di fare le cose all’italiana. Italiacità è un termine che si trova nel libro Svegliamoci Italici! Manifesto per un futuro glocal di Piero Bassetti. Il tema della glocalizzazione è un tema che da circa un ventennio sta animando non solo le scienze sociali ma anche le strategie economiche e politiche. Si tratta di capire che il futuro nella modernità liquida, per usare un termine coniato da Bauman, sta proprio nel mescolare le proprie radici con quelle del mondo. Le identità non sono mai qualcosa di fisso e definito, ma vanno sempre rimesse in gioco. I Maneskin stanno dando a questo paese l’occasione di un ribalta mondiale. Però non sono solo loro e non bastano solo loro.
Il nostro paese ha molte persone di ogni settore che stanno lavorando proprio nell’organizzare il post-pandemia in un’ottica che faccia capire il potenziale di questo paese che è enormemente amato all’estero. Ogni cosa italiana non è altro che un trigger che richiama all’Italia e non sarà solo la gondola o la miniatura del Colosseo. Il mondo vuole l’esperienza italiana. Ecco perché sostenere l’Italia, abbandonando certi toni di vecchia retorica, significa capire quanto questo paese può essere protagonista del presente e del futuro. Però è necessario sostenere la cultura e tutti i settori ad essa connessi, come il turismo.
Dobbiamo tornare a Massimo D’Azeglio: Fatta l’Italia bisogna fare gli italiani. O gli italici.
Simone Corami